Fino a non molti decenni fa, quando videogame, computer, playstation e telefonini non la facevano…
Salento di una volta: li cunti
Fino a una cinquantina di anni fa, quando le famiglie salentine si riunivano durante le afose sere d’estate, o d’inverno attorno ad un braciere, spesso e volentieri i grandi raccontavano ai piccini di 5-12 anni una o più storie tradizionali che erano state a loro volta tramandate oralmente.
Si trattava quasi di un momento magico, atteso specialmente dai più piccoli, nonché dell’unico momento di svago per i più grandi, impegnati tutto il giorno con il lavoro nei campi. L’atmosfera ideale era sempre favorita dallo scricchiolare del braciere nei periodi più freddi, dalle cicale e dai grilli che animavano il silenzio durante l’estate.
I racconti erano esposti unicamente in dialetto (da qui il termine “li cunti”) e narravano sulle tematiche più disparate, ma tutte legate nel riportare un significato morale alle vicende: sia che fossero a contenuto comico, a contenuto religioso, macabro, o semplicemente fatti di vita quotidiana dell’epoca. Spesso il narratore poteva divertirsi a variare parti del racconto, che però tuttavia mai poteva discostarsi troppo dai passaggi obbligati.
I bambini e le bambine ascoltavano con attenzione, rielaborando per proprio conto li cunti e ritrovandone i primi significati esistenziali e di saper vivere. I più grandicelli potevano cominciare a raffrontarli con la realtà della vita quotidiana e trarne preziosi insegnamenti.
Attraverso li cunti, il momento dell’incontro familiare costituiva quindi parte fondante della crescita dei bambini ed allo stesso tempo li allontanava da un presente fatto di monotonia e miseria, regalando storie accattivanti, possibilità fantasiose e mondi diversi.